18/02/2022
L’aumento dei costi delle materie prime acuisce la crisi degli allevamenti veneti, che non riescono più a far quadrare i bilanci. Oltre ai costi dell’energia elettrica e del gas, schizzati alle stelle, a incidere è l’alimentazione animale, lievitata del 19% secondo i dati Ismea: + 22% i foraggi, + 17% i mangimi semplici e + 15% i composti.
“La situazione degli allevatori è arrivata a un punto di non ritorno – sottolinea Fabio Curto, presidente del settore lattiero-caseario di Confagricoltura Veneto -. I dati Ismea parlano chiaro: solo restringendo il campo d’azione alla razione alimentare, che rappresenta la voce più onerosa nella gestione aziendale, il prezzo del latte alla stalla ha coperto a stento l’esborso. Se poi aggiungiamo i costi dell’energia elettrica e del gas, comprendiamo che la situazione non è più sostenibile. I tre centesimi che ci erano stati promessi dall’accordo di novembre, raggiunto tra le organizzazioni agricole, le cooperative, la grande industria e la grande distribuzione, non ci sono mai arrivati. Così viaggiamo su prezzi di 39-40 centesimi al litro, percepiti dagli allevatori, contro i 46 dei costi di produzione. Un divario che ci porta a chiedere interventi rapidi, se vogliamo salvaguardare il reddito delle nostre imprese. Il ministro Stefano Patuanelli ha chiesto la convocazione di un nuovo tavolo sul latte per rivedere la questione prezzi. Una richiesta che accogliamo con favore, ma con la sollecitazione ad arrivare a fatti concreti perché rischiamo di vedere azzerato il settore lattiero caseario. Negli ultimi 15 anni, secondo i dati di Veneto Agricoltura, nella nostra regione siamo passati da oltre 7.000 allevamenti di vacche da latte ai 2.900 attuali”.
Matthias Paolo Peraro, referente del settore per Confagricoltura Padova, spiega, conti alla mano, come la differenza di sette-otto centesimi al litro tra costi di produzione e remunerazione stia mettendo in ginocchio gli agricoltori: “Per un allevamento di 100 capi il deficit si traduce in una perdita mensile di oltre 7.000 euro al mese, vale a dire 85.000 euro all’anno – dice -. Questo vuol dire erodere il patrimonio aziendale, fare debiti su debiti e, alla fine, chiudere. Non ce la possiamo fare a resistere e sostegni non ne riceviamo. Il Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza, assegnerà dei contributi per l’installazione di pannelli fotovoltaici sui tetti degli edifici a uso produttivo dei settori agricolo e zootecnico, con i quali potremmo ridurre i costi energetici. Ma non è una misura sufficiente per l’emergenza attuale”.